Nel cuore di Atene, nel V secolo a.C., visse e operò una delle figure più emblematiche e rivoluzionarie della storia della filosofia: **Socrate** (circa 470/469 – 399 a.C.). La sua importanza non deriva da un corpus di opere scritte – egli non ne lasciò alcuna – ma dalla sua stessa vita, dalla sua metodologia di indagine, dalla sua incrollabile dedizione alla ricerca della verità e della virtù, e dalla sua tragica morte. Socrate fu un filosofo atipico, un "tafano" (come si autodefiniva) che pungolava i suoi concittadini a interrogarsi sulle questioni fondamentali dell'esistenza, della morale e della conoscenza.
La sua figura ci è giunta principalmente attraverso le testimonianze dei suoi allievi, in particolare **Platone** e **Senofonte**, e del suo critico **Aristofane**. Nonostante le differenze nelle loro rappresentazioni, emerge un ritratto coerente di un uomo che fece della ricerca del sapere e dell'esame di sé e degli altri la sua missione esistenziale.
Il primo e più grande problema per chiunque voglia studiare Socrate è la mancanza di sue opere scritte. Questo rende la sua figura un "enigma" filosofico, noto come il "problema socratico".
Dalla comparazione di queste fonti, gli studiosi cercano di ricostruire il "vero" Socrate.
Si narra che l'Oracolo di Delfi, interrogato da un amico di Socrate (Cherofonte), abbia affermato che nessuno era più sapiente di Socrate. Perplesso, Socrate intraprese un'indagine, interrogando politici, poeti e artigiani, considerati saggi. Scoprì che essi, pur non sapendo, credevano di sapere. Socrate invece, pur non sapendo, era consapevole della propria ignoranza.
«So di non sapere.»
Questa celebre affermazione non è un'espressione di rassegnazione, ma il fondamento della sua filosofia. È la consapevolezza della propria ignoranza che spinge alla ricerca della verità, distinguendosi da chi si accontenta di false certezze. È il punto di partenza per la vera conoscenza.
Il metodo di Socrate non consisteva in lezioni o discorsi frontali, ma in un **dialogo** continuo e serrato con i suoi interlocutori, per le strade, nelle piazze, nei ginnasi di Atene. Questo metodo si articola in due fasi principali:
Inizialmente, Socrate fingeva di essere ignorante, ponendo domande ingenue al suo interlocutore che si riteneva esperto su un dato argomento (es. "Cos'è la giustizia?", "Cos'è la virtù?"). Attraverso una serie di domande apparentemente innocue, conduceva il suo interlocutore a esprimere le proprie certezze. Poi, con ulteriori domande, evidenziava le contraddizioni e le lacune nel suo ragionamento, portandolo alla confutazione (ἔλεγχος - *elenchos*) e alla consapevolezza della propria ignoranza (ἀπορία - *aporia*). Questo momento di crisi, sebbene doloroso, era propedeutico alla vera ricerca.
Una volta che l'interlocutore aveva ammesso di "non sapere", Socrate lo aiutava a "partorire" la verità che era già in lui. La maieutica, come l'arte dell'ostetrica (mestiere di sua madre), non infondeva conoscenze dall'esterno, ma aiutava a far emergere la verità intrinseca all'anima. Attraverso ulteriori domande e analisi, si cercava di definire concetti universali (come la giustizia, il bene, il coraggio), superando gli esempi particolari.
«La mia arte ostetrica ha il potere di svegliare i pensieri.»
L'obiettivo non era tanto quello di dare risposte definitive, quanto di stimolare la ricerca autonoma e la riflessione critica.
La filosofia di Socrate si concentrò principalmente sull'**etica**, sulla ricerca del bene e della virtù (ἀρετή - *aretē*), intesa non come una qualità innata o un privilegio di nascita, ma come una **conoscenza** acquisibile.
Socrate sosteneva che la virtù è conoscenza e il vizio è ignoranza. Nessuno fa il male volontariamente (ἀκράτεια - *akrasia*). Se si conosce veramente il bene, non si può non agire bene. Il male deriva da un errore di giudizio, da un'ignoranza su ciò che è realmente vantaggioso per l'anima.
Questo implica che la moralità non è una questione di seguire regole esterne, ma di comprendere razionalmente ciò che è giusto. La vera felicità (εὐδαιμονία - *eudaimonia*) consiste nella pratica della virtù.
Per Socrate, la cosa più importante per l'uomo è la **cura della propria anima** (ἐπιμέλεια τῆς ψυχῆς - *epimeleia tēs psychēs*), intesa come la parte razionale e morale dell'individuo. La ricchezza, la fama, il successo sono beni secondari; ciò che conta è l'eccellenza morale dell'anima.
Socrate parlava di una voce interiore, un segno divino o un "demone" (daimonion) che lo dissuadeva dal compiere certe azioni. Non era una voce che suggeriva cosa fare, ma solo cosa *non* fare. Questo fu interpretato come una forma di intuizione morale o di coscienza, un'anticipazione del concetto di coscienza morale individuale.
«Una voce divina, che mi si è manifestata fin da fanciullo, e che mi dissuade sempre da ciò che sto per fare, mai mi spinge a farlo.»
La vita di Socrate ebbe un epilogo drammatico e ingiusto, che lo elevò a simbolo della libertà di pensiero e della coerenza filosofica.
Nel 399 a.C., Socrate fu accusato da Meleto, Anito e Licone di due capi d'accusa:
Nel suo processo, Socrate non tentò di scagionarsi con umiltà o di supplicare la giuria. L'Apologia di Platone ci presenta un Socrate fiero e dignitoso che difende il suo ruolo di filosofo come un dono divino alla città, un "tafano" necessario per risvegliare Atene dal suo torpore intellettuale e morale. Preferì difendere la sua missione piuttosto che la sua vita.
La giuria (un'assemblea di 501 cittadini) lo condannò a morte per avvelenamento (cicuta). Socrate accettò serenamente la condanna, rifiutando la possibilità di fuggire offertagli dagli amici.
La sua morte, narrata da Platone nel "Critone" e nel "Fedone", è l'atto finale della sua coerenza filosofica. Rifiutando di violare le leggi della sua città, anche se ingiuste nei suoi confronti, Socrate dimostrò la sua profonda lealtà alla giustizia e alla ragione, e la sua indifferenza di fronte alla morte fisica rispetto all'integrità morale.
Nonostante non abbia scritto nulla, l'impatto di Socrate sulla filosofia occidentale è immenso, segnando un prima e un dopo.
È universalmente riconosciuto come il fondatore della **filosofia morale o etica**, spostando il focus dell'indagine filosofica dalla natura (cosmologia) all'uomo, alla sua condotta e alla sua anima.
Il suo metodo del dialogo, basato sull'interrogazione, la confutazione e la ricerca di definizioni universali, divenne il fondamento della **dialettica**, centrale in Platone e oltre.
La filosofia di Platone è impensabile senza Socrate. Quasi tutti i dialoghi platonici vedono Socrate come protagonista, e molte delle sue teorie (come la dottrina delle Idee) si sviluppano a partire dalle questioni sollevate da Socrate.
Dopo la sua morte, diversi allievi di Socrate fondarono le cosiddette "scuole socratiche minori", sviluppando aspetti diversi del pensiero del maestro:
La sua vita, il suo processo e la sua morte lo hanno reso un simbolo eterno di integrità intellettuale, di coraggio civile e di dedizione incondizionata alla verità, un modello per i filosofi di ogni epoca.
Socrate ha posto le basi per tutta la filosofia successiva, non tanto per le risposte che ha dato, ma per le domande che ha posto e per il modo in cui ha spinto l'uomo a interrogarsi su sé stesso e sulla propria condotta. La sua domanda "Che cos'è?" è il punto di partenza della ricerca filosofica sulla natura delle cose e dei concetti universali.