12 settembre 490 a.C. - L'epica vittoria ateniese che salvò la democrazia nascente
All'alba del V secolo a.C., l'Impero Persiano, sotto il comando di Dario I, si estendeva dall'India all'Asia Minore, rappresentando la superpotenza indiscussa del mondo antico. Le poleis greche, frammentate e spesso in conflitto tra loro, sembravano destinare a soccombere di fronte all'avanzata persiana.
La scintilla che accese il conflitto fu la Rivolta Ionica (499-494 a.C.), quando le città greche dell'Asia Minore si ribellarono al dominio persiano, ricevendo un limitato supporto da Atene ed Eretria. La repressione persiana fu brutale: Mileto fu rasa al suolo e la sua popolazione fu ridotta in schiavitù.
Dario I, determinato a punire gli ateniesi per il loro sostegno alla rivolta e a estendere il suo dominio sull'intera Grecia, organizzò una spedizione punitiva. Secondo lo storico Erodoto, Dario incaricò un servo di ricordargli ogni giorno prima di pranzo: "Signore, ricordati degli Ateniesi".
L'esercito persiano, guidato dai generali Dati e Artaferne, era una macchina da guerra temibile e multietnica. Le stime moderne suggeriscono che contasse tra i 20.000 e i 30.000 fanti, oltre a 1.000 cavalieri e numerosi frombolieri e arcieri. I persiani potevano contare su truppe scelte come gli Immortali, famosi per la loro disciplina e equipaggiamento.
Dall'altra parte, gli Ateniesi schieravano circa 10.000 opliti, soldati cittadini pesantemente armati che formavano la falange. A questi si unirono 1.000 alleati Plateesi. Nonostante la netta inferiorità numerica, gli opliti ateniesi vantavano un equipaggiamento superiore per il combattimento corpo a corpo: lunghe lance, spade, scudi pesanti (hoplon), elmi, corazze e schinieri.
La differenza fondamentale risiedeva nella motivazione: i persiani combattevano per espandere un impero, gli ateniesi per la sopravvivenza della loro città, delle loro famiglie e del loro modo di vita. Questa disparità psicologica avrebbe giocato un ruolo cruciale nell'esito dello scontro.
I persiani scelsero la piana di Maratona come luogo dello sbarco per la sua conformazione ideale alla cavalleria, loro punto di forza. Schierarono le truppe d'élite al centro e le forze meno esperte sulle ali, secondo la consueta tattica persiana.
Milziade, il generale ateniese, consapevole della superiorità numerica avversaria, escogitò una strategia rivoluzionaria. Invece di distribuire uniformemente le forze, concentrò le sue truppe migliori sulle ali, assottigliando deliberatamente il centro. Questo schema insolito avrebbe permesso alle ali di avanzare più rapidamente e accerchiare il nemico.
Un'altra decisione cruciale fu quella di far correre gli opliti all'assalto negli ultimi 200 metri per minimizzare il tempo di esposizione al micidiale tiro degli arcieri persiani. Questa corsa sotto il peso di oltre 30 kg di equipaggiamento richiese uno sforzo immane, ma si rivelò determinante.
La battaglia ebbe inizio all'alba del 12 settembre 490 a.C. Gli opliti ateniesi, dopo aver atteso il momento propizio, si lanciarono all'attacco con una carica che colse di sorpresa i persiani. Come previsto da Milziade, il centro ateniese, deliberatamente indebolito, fu respinto dalla superiore forza persiana, ma le ali riuscirono a prevalere e a mettere in fuga le truppe nemiche.
A questo punto avvenne la mossa decisiva: invece di inseguire i fuggitivi, le ali ateniesi si volsero verso l'interno e accerchiarono il centro persiano che aveva sfondato le linee greche. I persiani, presi tra due fuochi e impossibilitati a manovrare nella stretta morsa, subirono perdite devastanti.
La battaglia si trasformò in un massacro. Secondo Erodoto, i persiani persero 6.400 uomini, mentre gli ateniesi solo 192. I sopravvissuti persiani tentarono di riprendere le navi e dirigerse verso Atene, ma gli ateniesi riuscirono a rientrare in città prima di loro, prevenendo qualsiasi tentativo di conquista.
La figura di Fidia (o Filippide) è avvolta nella leggenda. Secondo la tradizione, questo emerodromo (corriere di lunga distanza) sarebbe stato inviato da Atene a Sparta per chiedere aiuto, percorrendo 240 km in due giorni. Al suo ritorno, partecipò alla battaglia e poi corse da Maratona ad Atene (circa 42 km) per annunciare la vittoria, morendo poco dopo per lo sforzo.
La moderna maratona sportiva trae origine proprio da questa leggenda, sebbene gli storici moderni mettano in dubbio molti dettagli del racconto. È più probabile che un corridore fosse effettivamente stato inviato a Sparta, mentre l'annuncio della vittoria ad Atene potrebbe essere stato portato da un messaggero diverso o addirittura da un intero gruppo di soldati.
Questa leggenda, immortalata da Plutarco secoli dopo gli eventi, rappresenta perfettamente lo spirito di sacrificio e dedizione che caratterizzò la resistenza greca contro l'invasore persiano.
La vittoria di Maratona ebbe conseguenze profonde e durature per il mondo occidentale. In primo luogo, dimostrò che i persiani potevano essere sconfitti, infondendo coraggio alle poleis greche di fronte alla successiva invasione di Serse nel 480-479 a.C.
Ad Atene, il prestigio acquisito consolidò il regime democratico e inaugurò il secolo doro dell'età di Pericle. La fiducia nella superiorità della libertà greca sulla schiavitù orientale divenne un pilastro dell'autocoscienza occidentale.
Sul piano militare, Maratona segnò il trionfo della falange oplitica sulle tattiche orientali, dimostrando la superiorità della fanteria pesante in terreni chiusi. La battaglia influenzò profondamente la strategia militare successiva e rimase un modello di vittoria contro ogni previsione.
Culturalmente, la vittoria ispirò opere d'arte, monumenti (come il Tesoro degli Ateniesi a Delfi) e la storiografia di Erodoto, che pose le guerre persiane al centro della sua narrazione storica. L'eco di Maratona risuonò attraverso i secoli, diventando un simbolo eterno della resistenza della civiltà contro la barbarie.
Oltre al suo impatto storico e militare, Maratona rappresenta un momento cruciale nella definizione dell'identità occidentale. Il conflitto tra il mondo greco e l'Impero Persiano può essere letto come lo scontro tra due visioni del mondo antitetiche: da un lato le poleis greche, con i loro governi partecipativi (sebbene limitati) e il valore accordato alla libertà individuale; dall'altro il dispotismo orientale, gerarchico e centralizzato.
Questa dicotomia, semplificata ma potente, ha plasmato per secoli l'auto-comprensione dell'Occidente. La vittoria greca permise lo sviluppo della filosofia, del teatro e della democrazia ateniese - quei pilastri culturali che avrebbero formato le basi del pensiero occidentale.
Maratona ci interroga anche sul ruolo del caso e della necessità nella storia: quanto contò l'abilità strategica di Milziade e quanto invece la fortuna? Quanto fu decisiva la scelta del terreno? Queste domande rimangono rilevanti per comprendere non solo il passato, ma la natura stessa degli eventi storici.